Approfondimenti

La guerra ai selvatici di una società malata / di Lorenzo Guadagnucci

La Toscana ha fama di terra piacevole e accogliente, con le sue città d’arte e una campagna dolce e aggraziata come il profilo dei suoi paesaggi. Ma chi frequenta davvero la Toscana rurale, anche in queste giornate dedicate alla raccolta delle olive, conosce bene l’altra faccia di quest’immagine da dépliant turistico: specie nei fine settimana, la campagna toscana è – letteralmente – territorio di caccia e si trasforma in un piccolo inferno fatto di fuoristrada parcheggiati sulle strade bianche, mute di cani abbaianti, gente vociante nei boschi, spari che rimbombano fra una vallata e l’altra. La Toscana è la regione dei cacciatori, sia per la densità delle doppiette rispetto alla popolazione (la più alta d’Italia), sia per lo strapotere delle associazioni venatorie, forti di un’antica attitudine a spalleggiare il potere politico locale.

In queste settimane sta maturando, nel silenzio dei media nazionali, un ulteriore incrudimento della “guerra ai selvatici” cara al mondo venatorio. La giunta regionale ha preparato una legge speciale che autorizza, per tre anni, una campagna di sterminio di cinghiali e caprioli. I condannati a morte sono almeno 200mila, secondo le stime della Regione: un massacro che quasi trasforma i cacciatori in funzionari pubblici e concede la possibilità di sparare ovunque, anche nelle aree protette, e secondo un calendario venatorio ad hoc, con più giornate di caccia a disposizione.

Nelle campagne e nei boschi della Toscana il sangue scorrerà copiosamente e i cacciatori potranno sostenere di svolgere una funzione di pubblica utilità. Per le associazioni venatorie è un successo politico straordinario, che va in controtendenza rispetto alla crisi di vocazioni (da tempo il numero dei cacciatori è in calo e l’età media in crescita) e al disagio esistenziale causato da un’opinione pubblica largamente contraria alla caccia (secondo i sondaggi e il comune sentire degli stessi cacciatori organizzati).

La Regione, naturalmente, giustifica la carneficina con l’argomento preferito da tutti i poteri, ossia l’emergenza. In Toscana, secondo l’assessore Marco Remaschi, gli ungulati sono troppi e causano danni all’agricoltura e incidenti stradali: quanto basta, sostiene, per decidere un intervento straordinario con la collaborazione dei cacciatori. La vita degli animali evidentemente non conta, i danni all’agricoltura possono essere sanzionati con uccisioni di massa e poco importa se la caccia causa ogni anno un numero ben più alto di morti e feriti rispetto agli scontri fra auto e cinghiali: solleticare l’insofferenza psicologica dell’automobilista funziona sempre…

L’assessore sostiene che in regione vi siano fra i 400 e i 500mila cinghiali e che ne vadano eliminati almeno la metà. Consapevole di avviare un’operazione di dimensioni finora sconosciute, l’assessore ha inserito nella legge una norma che consentirà lo smaltimento dei corpi degli animali uccisi: sarà creata una filiera della carne di cinghiale, con macelli dedicati (il primo è già stato inaugurato) e sbocchi da trovare anche nell’ambito delle mense pubbliche e del sostengo alimentare ai poveri. Per i cacciatori è una gioia in più, perché la costruzione di una vera filiera alimentare è la migliore garanzia di continuità: il bisogno di corpi sarà costante, ben oltre i tre anni di emergenza previsti dalla legge.

L’assessore Remaschi ha portato a compimento il suo disegno di legge al termine di un viaggio nella Toscana rurale, con incontri pubblici centrati ovviamente sulla presunta emergenza vissuta da agricoltori e automobilisti, ma una vera discussione attorno al suo progetto non è nemmeno partita, per almeno due ragioni.

Da un lato, la questione animale, e lo stesso ambientalismo, sono pressoché assenti dal dibattito pubblico e politico e quindi gli argomenti opposti a quelli dell’assessore sono rimasti confinati in ambiti marginali e nella discussione – finora priva di un’eco pubblica significativa – in consiglio regionale.

Da un altro lato, la Regione è riuscita a imporre una “road map” che non ammette punti di vista diversi dal binomio emergenza-risposta armata. Le basi della non-discussione sono stati precostituiti. La stima dei 400-500 mila cinghiali non è verificabile, e certamente non è il frutto di un censimento imparziale e controllabile: è vero che l’assessore invoca la copertura dell’Ispra, ente pubblico preposto alla protezione dell’ambiente, ma non risultano censimenti veri e indipendenti, condotti senza la collaborazione degli stessi cacciatori.

Anche la valutazione secondo la quale gli animali “sono troppi” è diventata una verità che si autoafferma, senza discussione pubblica e senza un’analisi scientifica dei dati.

Quanto al piano di abbattimento, non sono stati presi in considerazione i numerosi studi scientifici che dimostrano l’inefficacia di simili stragi: la popolazione di cinghiali tende a riformarsi rapidamente, perché lo scompiglio creato dalle uccisioni di massa accresce la fertilità delle femmine e perché i massacri non cambiano le condizioni ambientali preesistenti.

Un percorso diverso sarebbe possibile e dovrebbe prevedere un censimento imparziale della popolazione di ungulati, una valutazione accurata dei danni procurati all’agricoltura (magari comparati coi disagi fisici e morali causati dalla caccia) e infine, se davvero si dovesse riscontrare la necessità di un intervento per ridurre il numero degli animali, la messa a punto di un piano articolato che includa le sterilizzazioni e percorsi simili a quelli previsti dalle varie leggi di tutela di specie selvatiche come il lupo o l’orso. L’empatia per gli animali, il rispetto per le loro vite, dovrebbero avere piena considerazione.

Ma niente del genere è pensabile, quando si sceglie di agire secondo la logica dell’emergenza e se la questione animale è semplicemente rimossa dal dibattito pubblico.

Luigi Lombardi Vallauri, filosofo del diritto e curatore del volume “La questione animale” per il Trattato di biodiritto diretto da Stefano Rodotà e Paolo Zatti, in una lettera aperta al presidente della Regione Enrico Rossi, ha scritto che la legge Remaschi ferisce il “sentimento per gli animali” tutelato dal Codice penale e potrebbe incappare in contestazioni sul piano amministrativo, penale e costituzionale per il suo piano di sterminio “crudele e non necessario” e quindi vietato dall’articolo 544 bis del Codice. Ma c’è un altro aspetto sul quale insiste il professore nella sua lettera (rimasta finora senza risposta) e cioè il fatto che la legge “ferisce anche l’immagine della Toscana come luogo internazionalmente ammirato di integrazione e di armonia”.

Perché dunque la Regione ha scelto una via così oltranzista? Perché la Toscana si espone al rischio d’essere considerata una regione in guerra contro i suoi animali?

Una parte della risposta va sicuramente cercata nell’inerzia di amministrazioni locali che non sono mai riuscite a concepire la cura del patrimonio boschivo e la tutela degli animali liberi senza la mediazione delle associazioni venatorie, tradizionale bacino di voti per consiglieri, deputati, assessori, sindaci e presidenti.

Ma c’è qualcosa di più, che va oltre lo stesso caso-Toscana, e riguarda la crescente disponibilità ad accettare soluzioni sbrigative e violente per qualsivoglia “problema”. La guerra agli animali selvatici – forse i soli individui davvero liberi nella nostra società – fa parte di una più generale guerra alla natura e a tutto ciò che sembra mettere in discussione lo status quo, lo “stile di vita” acquisito.

Il degrado degli ecosistemi si sta rivelando inarrestabile per ragioni culturali e politiche. Non riusciamo a immaginare la specie umana come ospite, anziché padrona, della Terra e stiamo pagando il prezzo di tanta arroganza. L’ambiente e gli animali sono stati ridotti a merce e come tali vengono trattati. Il consumo di suolo e le emissioni inquinanti non conoscono freni. Prati, colline, boschi, foreste rischiano in ogni momento d’essere distrutti perché etichettati come “improduttivi”, così come vi sono specie animali condannate a morte perché qualificate come “nocive”.

Si progettano stermini di esseri viventi sulla base di cinici e approssimativi calcoli fatti a tavolino, senza avere alcuna considerazione per la vita animale e a costo di ignorare le stesse conoscenze scientifiche accumulate. Gli animali selvatici, in particolare, sono oggetto di autentiche campagne di odio e discriminazione: l’emergenza cinghiali in Toscana si somma all’emergenza orsi in Trentino; e poi ci sono i piccioni, le nutrie, le gazze, i corvi, gli scoiattoli che sono sempre troppi, fastidiosi, quindi da eliminare.

Si è gridato all’orso killer, al cinghiale killer, addirittura al cervo killer, aprendo la strada a dichiarazioni pubbliche dello stato d’emergenza e a risposte che vengono regolarmente cercate lungo le vie della violenza e delle armi, senza possibilità di opporre obiezioni e tanto meno altre e diverse chiavi di lettura. È una forma d’autoritarismo che pervade ormai la società.

La guerra ai selvatici segnala un male profondo, una crisi di valori che spaventa quanto l’indifferenza che la circonda.

(da lorenzoguadagnucci.wordpress.com)

Discussion

4 Responses to “La guerra ai selvatici di una società malata / di Lorenzo Guadagnucci”

  1. L’ultima frase è perfetta. Chiude il cerchio.

    Posted by ILAVEG | 24 Novembre 2015, 17:32
  2. Capisco perfettamente il punto di vista dello scrittore, ma, lui, è mai stato in un campo di grano dopo una notte i pioggia? Ha mai provato a passeggiare per un viottolo nel bosco e provare a contare quante e quali tracce sono visibili ? Se si allora conosce la risposta, se no vi posso assicurare che le uniche tracce che si vedono sono di cinghiali, caprioli e daini. Un tempo, non molto per la verità, si potevano trovare tracce di lepre, di fagiano, di tasso…oggi no! Il motivo non è la caccia a tali animali, ma l’innumerevole presenza di cinghiali che si nutrono di tutto ciò che è commestibile a cominciare dalle uova e dai piccoli indifesi di animali terricoli, lepri e fagiani in primis. Personalmente caccio con il cane e in solitaria il fagiano o la beccaccia, ma grazie all’enorme incremento di questi ungulati reperirne anche solo uno è un’impresa titanica. La colpa di questo incremento risiede in un errore legislativo che assegna delle zone ben precise alle squadre di cacciatori che così si sentono in diritto/dovere di foraggiare durante tutto l’anno gli ungulati in questione, favorendone la riproduzione anche fuori il periodo canonico La soluzione non è certo la sterilizzazione che avrebbe costi immensi, ma l’abolizione delle zone e l’introduzione dell’obbligo di scelta di quale caccia praticare (caccia per specie) che imporrebbe un vincolo ai cacciatori “cicciari” quali sono i cinghialai. Di sicuro il primo effetto sarebbe una diminuzione del numero dei cacciatori, che non potendo più praticare tutti i tipi di caccia, non rinnoverebbero la licenza e secondariamente un decremento degli ungulati perchè verrebbe a mancare il continuo foraggiamanto (nessuno porterebbe da mangiare ad animali che potrebbero venir uccisi da chiunque!!!) In fondo chi pratica la caccia con i richiami da appostamento fisso, già non può cacciare altro…perché per loro è possibile e per i cinghialai no?

    Posted by Roberto | 15 Gennaio 2016, 10:47
  3. Ripeto la domanda correttamente
    “Ma cosa si prova ad uccidere? Me lo spieghi bene per favore”

    Posted by gloria | 31 Gennaio 2016, 12:56
  4. la sterilizzazione non funziona?…
    e secondo lei come hanno fatto finora con i tanto odiati piccioni cittadini?…
    la trovo innaturale quanto ‘la ripopolazione forzata’, e su questo argomento, mi trovano in accordo anche con i suoi colleghi. puoi essere cacciatore o ANIMAlista. ma Madre Natura il conto lo presenta a tutti, prima o poi.

    Posted by ILAVEG | 18 Febbraio 2016, 18:37

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