Approfondimenti

Caterina e la vivisezione, ovvero: “ Volete Gesù o Barabba?”

Il nostro amico Gianfranco Laccone ci ha mandato questo intervento sul “caso Caterina”, la fiammata mediatica su ricerca scientifica e sperimentazione animale che è passata dai social network ai quotidiani alla tv. Lo pubblichiamo volentieri.

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I fatti: una persona gravemente malata, coinvolta direttamente, per ragioni emotive del tutto comprensibili, si schiera a favore della vivisezione attraverso Internet ed è fatta oggetto, in rete, di insulti e auspici di morte. Vittima di una provocazione che non vedo chi di noi potrebbe sostenere, questa persona è degna di tutta la nostra solidarietà. Ma che c’entra questa indegna aggressione con il dibattito sulla vivisezione e le ragioni per abolirla? Come spesso accade in Italia, a pensar male si fa peccato, ma spesso si intuisce il giusto: la provocazione sembra nata apposta per dare ragione ai difensori della vivisezione, tanto da farci pensare che sia ben poco spontanea.

Ed ecco che il neo-segretario del Pd si schiera prontamente in favore della vivisezione, cioè in difesa di Caterina, vittima di questa aggressione virtuale. Io, che sono un po’ meno segretario e certamente non del PD, mi colloco in una posizione intermedia: un po’ come Massimo Troisi, che in “Ricomincio da tre” tra un giorno da leone e cento da pecora ne sceglieva cinquanta da orsacchiotto.

La malattia è cosa seria e le aggressioni verbali a una persona malata da parte di taluni individui attraverso la rete – si potrà mai identificarli?- sono sicuramente spregevoli. Ma tutto ciò in Italia degrada presto a operetta e rivela una propensione al tifo da stadio che assai poco si addice a ricercatori e uomini di scienza.

Dispiace che i fautori della ricerca attraverso altri viventi-senzienti, cioè attraverso le sofferenze degli animali non umani, siano ridotti a questi espedienti per difendere i loro metodi. E’ un po’ come se i sostenitori degli OGM utilizzassero, per farsi propaganda, un poveretto salvato dalla morte per fame con l’uso di alimenti OGM, oppure come se si affidasse la decisione circa la pena di morte ai parenti delle vittime di attentati.

Nell’episodio del Vangelo, dietro il falso dilemma “Gesù o Barabba” si celava ben altro: l’ovvia risposta data immediatamente dal popolo bue sarebbe stata la conferma populista di una decisione già presa. Del pari, dietro il falso dilemma “Volete certe malattie genetiche o la vivisezione?” c’è la decisione, dogmatica, di non modificare i metodi di ricerca. Tutto ciò nonostante le stesse ricerche ci spingano verso nuove frontiere e le scoperte in campo genetico ci pongano nuovi problemi etici e morali.

La battaglia per la difesa della vivisezione è quanto di più arcaico ed antiscientifico ci sia. Antiscientifico in senso pieno, poiché non è altro che la reiterazione del paradigma cartesiano – quello della superiorità dell’uomo sulle altre specie – carica degli stessi pregiudizi che guidavano lo scienziato del XVII secolo. Non è un caso che fra i sostenitori della vivisezione vi siano sostenitori della riforma della 194, della difesa dell’embrione, della spasmodica ricerca di finanziamenti per quelle grandi multinazionali che hanno creato la categoria delle “malattie rare”, ergendosi, tramite il gioco perverso dei brevetti, a dei in terra e decidendo chi potesse essere curato e chi no. Sempre a scapito degli altri viventi.

Il caso di Caterina è l’emblema dell’urlo che copre il nulla. Un caso che dovrebbe essere classificato come mobbing attraverso la rete diventa bandiera per la difesa della vivisezione, cioè di una metodica della ricerca sottoposta a critiche crescenti fra gli addetti ai lavori. Ampiamente mediatizzato e trasformato in circo (le foto della malata con cartelli in mano, le voci piangenti e così via) il caso, che sembra montato ad arte, copre i fallimenti di un Paese che appare prigioniero dell’alternativa fra i grandi interessi di mercato e i ciarlatani alla ricerca di clienti (il caso Stamina sembra la fotocopia di quello Di Bella).

In realtà, i grandi ricercatori sono orientati verso ben altri orizzonti che non la vivisezione. Dopo alcuni secoli di sperimentazione, si è giunti alla conclusione che le ricerche -come le cure – andrebbero individualizzate. Inoltre, chi ha aperto nuove strade nel cammino della scienza ha sperimentato anzitutto su se stesso, esponendosi e pagando in prima persona: do you know M.me Curie?

Se esistesse Dio si dovrebbe dire che “è l’essere imperfettissimo”, poiché ogni individuo vivente è diverso dagli altri: nel tempo, nello spazio, nella catena biologica. E allora come possiamo pretendere di sperimentare qualcosa su questo e quello, traendone conclusioni generali e univoche?

Ma torniamo al nostro piccolo e mediocre episodio. Ci piace sapere che le cure migliorano la vita di qualcuno, ci dispiace che questo avvenga a spese di altri esseri viventi, ci rattrista pensare che la ricerca non ci dica niente di nuovo e ci chieda di schierarci con Gesù o Barabba. Vorremmo, invece, i ricercatori al nostro fianco, nella ricerca di metodi e soluzioni che riducano la sofferenza di tutti i viventi, umani e non umani. Che a loro piaccia o no, questa è la strada del futuro.

Gianfranco Laccone

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