Approfondimenti

La voce del padrone al Luna Park Expo

di Ilaria Beretta

Segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire, così cantava Franco Battiato in uno dei suoi album di maggior successo, La voce del padrone. Ed è di segnali di vita vera che abbiamo bisogno, di luci nitide, che spezzino non tanto il buio ma il grigiore nel quale siamo immersi, magari senza rendercene conto. Tante zone grigie estese, le une vicine alle altre, che alla fine formano un’unica compatta nebbia densa, dove perdersi.

 

expoMancano pochi giorni al termine di Expo 2015: 110 ettari agricoli tolti ai contadini e cementificati per mostrare a tutto il mondo come “nutrire il pianeta”, altri ettari di terreno coltivato e fertile, circa 1700, a detta del Centro Studi del Politecnico di Milano, “mangiati” per fare tre nuove autostrade, una che già c’era, la Milano – Brescia, una detta Pedemontana che è talmente costosa e complicata da pagare che nessuno usa, e la TEEM, una seconda tangenziale est.

 

Una “Carta di Milano”, nata proprio dall’esposizione universale, che non dice nulla di nuovo sotto il profilo degli sprechi alimentari e della fame del mondo e non prende in considerazione gli Animali se non per un rigo che dice di “evitare (loro) sofferenze inutili”, come ad esempio far arrivare nel padiglione dello Zimbabwe, invece che gli animali vivi, “pratici” quintali di carne di coccodrillo o di dromedario o di zebra da gustare con una foglia d’insalata o con il “tipico succo di baobab”, come recita estasiato il sito Corriere.it. E perché non mangiare gli insetti, magari solo in larva (tanto le larve sono poco senzienti, infatti si dice che sono allo “stadio larvale” per questo!) sempre da consumare come pietanza o in crema, nel padiglione del Belgio, dell’Olanda o della Svizzera?

 

Un Luna Park quindi, questo Expo, dove gli animali invece di avere effigi di cartongesso a formare le giostre, sono fatti a pezzi preventivamente per aiutare i controlli della Sanità nazionale, mentre nel Terzo Millennio una proposta di cibo pacifico (e abbondante) per tutti e condivisibile da tutti, doveva essere fatta. Pochi sanno infatti che EXPO 2015 era nato con l’idea d’invitare tutti i Paesi del mondo a mostrare che cosa coltivassero e poi, via via, nella fretta di salvare la manifestazione da mafia, mazzette di vario cabotaggio e corruttele miste è diventato quello che abbiamo appena visto chiudere: un baraccone ambulante pieno di violenza che lascia terra bruciata al suo passaggio, pilotato da multinazionali che vivono sul sangue animale ma che non hanno piacere che questo venga sottolineato.

 

E, per giunta, con due principi simbolo tanto espliciti quanto non condivisibili: il divieto di far entrare gli animali da compagnia a seguito dell’uomo e il pagamento di un biglietto piuttosto caro, 35 euro solo per entrare, in una manifestazione che avrebbe dovuto impegnarsi per la massima condivisione di tutto il cibo sostenibile, e invece sembrava dirci: Per mangiare devi pagare, e caro! Questo è il presente e anche il futuro, abituati, baby!

 

Expo e la sua Carta fanno fare diversi passi indietro al lavoro di chi si è battuto per il Trattato di Lisbona del 2007, in cui la Comunità Europea ha definito e sancito gli animali come esseri “senzienti”, quindi affini in tutto e per tutto all’umano genere e in perfetta curva a gomito contro tutta la filosofia e la cultura occidentale che da Cartesio in poi hanno considerato gli animali macchine.

 

Ma l’esposizione universale… della nebbia è solo cominciata. Ci sono quelli di Slow Food, paladini del cibo tradizionale, una grande idea nel 1986 quando eravamo tutti intossicati dalle varie Milano da bere modaiole ed esterofile, ma che adesso segna il passo con un concetto di salvaguardia del territorio attraverso la “panza”, più finemente chiamata da loro stessi “gusto”. Uno Slow Food che al grido “riprendiamoci il cibo tradizionale” non si rende conto che ormai il “villaggio” è globale e che “cibo tradizionale” per paesi come la Cina, massima finanziatrice di Expo, è nutrirsi di animali vivi, di cui si prendono di volta in volta dei pezzi o che si scuoiano vivi come nelle grande mattanze di cani e di gatti, di cui si consumano milioni di esemplari l’anno e che sono – semplicemente – cibi tradizionali cinesi.

 

noexpo

Sit-in animalista a Milano contro Expo 2015

Anche Terra Madre Giovani, manifestazione organizzata da Slow Food in una versione tutta coniugata Expo, ha invitato e coinvolto lo scorso ottobre centinaia di giovani (under 40) contadini, allevatori e pescatori da tutta la Terra sotto lo stendardo We feed the planet, come a dire che sono proprio loro a nutrirlo, il pianeta. Peccato che non siano loro a nutrire il pianeta ma i milioni di vittime che ogni giorno rimangono nelle reti in mari sempre più vuoti e in mattatoi sempre più stivati di animali provenienti da allevamenti sempre più concentrati. Mi chiedo come si fa a indicare a dei giovani, così freschi e vicini alla vita, una strada diversa da quella che dica per prima cosa: non uccidere, non far soffrire, vivi in pace.

Poi c’è Laudato Si’ Enciclica sulla cura della casa comune, di cui Carlo Petrini, patron di Slow Food, ha fatto un’introduzione-guida alla versione cartacea nell’edizione San Paolo. Il pontefice, nelle oltre 200 pagine di analisi dell’attuale mondo consumistico arriva al culmine, raggiunto al paragrafo 221: Quando si legge nel Vangelo che Gesù parla degli uccellini e dice che “nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio” (Luca 12, 6), saremo capaci di maltrattarli e far loro del male? Invito tutti i cristiani a esplicitare questa dimensione della propria conversione, permettendo che la forza e la luce della grazia ricevuta si estendano anche alla relazione con le altre creature e con il mondo che li circonda, e susciti quella sublime fratellanza con tutto il Creato che san Francesco d’Assisi visse in maniera così luminosa.

Anche questo testo, come il Trattato di Lisbona, è scritto con chiarezza e non dovrebbe generare dubbi sul cammino indicato. Eppure è appena iniziata la caccia, molti di quegli uccellini indicati da Gesù come simbolo della cura del Padre Celeste, 2000 anni fa, vengono sparati sulle vie del ritorno a casa nel paese caldo d’origine e delle grandi migrazioni per andare a nidificare; per non parlare dei cinghiali e dei caprioli, dichiarati dannosi all’agricoltura e in sovrannumero per permettere ai cacciatori di fare stragi su stragi.

 

Possibile che in questi milioni di persone che seguono Slow Food, che sono state ad Expo o che si definiscono cattoliche non ci sia qualcuno che ami gli animali un pochino di più del proprio “gusto” o della propria indifferenza/quieto vivere? Tra i cattolici di lungo e breve corso, ad esempio, non ci sono gruppi che amano gli uccellini e che non possano far sentire la loro voce nei territori dove vivono? Adesso c’è un papa che ha detto le cose, ci saranno pure un’eminenza o un parroco disposti a sentirne le istanze!?

 

Per chiudere e per mettere una luce, in tutto questo grigio: in India quest’estate l’AWNN, Animal Welfare Network Nepal, ha riportato una vittoria storica: ha convinto i fedeli indù del Gadhimai Temple a non fare più sacrifici di animali (centinaia di migliaia ogni volta), che adesso sono proibiti per sempre.

 

Forse lì la strada è più facile perché la cultura orientale non dà valore sostanziale alla soggettività né al culto della personalità, e alla fine in quei paesi si sente meno la voce dell’individualità sfrenata (senza freni e limiti) che arriva da occidente: è questa, forse, la vera voce del padrone alla quale quasi tutti, evidentemente, ancora sottostiamo.

 

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